venerdì 22 marzo 2013

Partecipazione

Gli amici servono sempre a qualcosa, i miei in particolare.

Ci capita spesso di discutere di politica, in tono sempre molto accesso.

In quei casi ci si dice - anzi, ci si urla - cose allucinanti, tirando fuori il peggio del nostro repertorio. Un secondo dopo, ovviamente, ci si scorda tutto, come è giusto che sia.

Sono sempre dibattiti vivi, accesi, animati, da far invidia ai collegamenti esterni di Formigli, che denotano una passione genuina per la politica ed una profonda attenzione alle dinamiche della società.

Qualche sera fa, mentre commentavamo il voto di febbraio, mi sono reso conto che mancava qualcosa al nostro confronto (non gli insulti, quelli ci sono sempre ed a prescindere da tutto, in fondo ci vogliamo bene in un modo un po' particolare): la speranza.

L'ottimismo e la fiducia li avevamo abbandonati già da tempo, ma avevamo sempre pensato che, da qualche parte, si sarebbero comunque trovate le energie per rilanciare il nostro paese.

Quando ci lamentavamo di un'Italia spezzata politicamente in due, non ci rendevamo conto che la situazione, per quanto pessima, sarebbe presto peggiorata: oggi i grandi blocchi politici sono addirittura tre, più o meno con le medesime percentuali. Fidandoci dei sondaggi (dura, dopo gli ultimi flop, ma tant'è...), centrosinistra, centrodestra e Grillo sono intorno al 30%, e con quel che resta di Monti al 10% il cerchio si chiude quasi alla perfezione.

In questo scenario, che rischierebbe di essere confermato in caso di elezioni anticipate, è evidente che anche la speranza di un colpo d'orgoglio si riduce drasticamente.

Sentire ragazzi di poco più di 30 anni dire di essere pronti ad andare all'estero perché il nostro paese non offre le condizioni minime per costruire qualcosa fa male al cuore. Abbiamo ereditato dai nostri padri il benessere, che potremo offrire ai nostri figli se l'Italia è questa?

Ancora più doloroso, però, è non saper dare una risposta a chi chiede soluzioni per poter uscire dall'impasse attuale.

Tranne una.

Non possiamo più permetterci di essere spettatori di quello che avviene in politica, limitandoci a commentare fra di noi o sui social network. E' ora di fare di più, non si possono più firmare deleghe in bianco.

Non pretendo che ci si spenda in prima persona, ma portare il proprio contributo quello si, è il minimo, se si vuole contribuire a costruire qualcosa.

Vogliamo un cambiamento? Non c'è bisogno di guru e santoni, ma di persone per bene, non imbrigliate nelle pastoie di partiti museali, che sentano la fiducia delle persone ed operino nell'interesse del popolo e non delle segreterie.

Se tutti noi contribuiamo portando un suggerimento, una critica, partecipando ad un'iniziativa, possiamo pensare di invertire la tendenza, impedendo che siano sempre altri, spesso non all'altezza, a decidere per noi, mentre noi assistiamo impotenti.

venerdì 8 marzo 2013

Siamo dei coglioni

Ebbene si, siamo dei coglioni.

Tutti quanti, nessuno escluso, a partire da me.

Eravamo talmente impegnati a difendere una nostra personale idea di destra che non ci siamo accorti che, a forza di discuterne, l'abbiamo consumata del tutto.

Ci siamo (quasi) estinti per consunzione.

Non voglio stare a recriminare, posso parlare solo per me, gli altri, se lo vorranno, potranno fare altrettanto.

Non rinnego le mie scelte, nemmeno una, nemmeno oggi che si sono dimostrate, risultati elettorali alla mano, completamente fallimentari.

Legalità, onestà e libertà di espressione sono fra i valori più importanti sui quali ho cercato di fondare non tanto la mia attività politica, quanto la mia stessa vita: molto semplicemente, mi sembrava che nel PDL le priorità fossero ben altre, e quindi me ne sono andato.

Quello che è successo dopo andrebbe analizzato da uno psicanalista e non da un analista politico. La delusione, anche umana, è stata enorme. Un progetto politico naufragato nella più totale insipienza.

Sorvolo per carità di patria, perché non ho intenzione di recriminare su come sono andate le cose, ma adesso è giunto il momento di ricostruire un mondo che non c'è più.

O, meglio, un mondo che non ha più rappresentanza politica.

Non è una corsa alla ricerca del passato, ma una spinta - disperata - verso il futuro.
Questo paese è da rivoltare come un calzino, ma la demagogia ed il populismo (di tutti, non solo di Grillo) non ci porteranno lontani, dobbiamo ricostruirlo dalle sue fondamenta.

Però dobbiamo farlo insieme, non possiamo frammentarci nell'assurda ricerca, con conseguenti contrapposizioni, delle proposte più cristallinemente di destra.

Dobbiamo parlare ad un popolo, cercando di spiegare perché 50 euro non sono più sufficienti per acquistare nulla o perché se i contratti sono flessibili il mondo del lavoro è ancora statico.

Dobbiamo comprendere che non possiamo affrontare il tema dell'immigrazione con un approccio ideologico, ma pratico, senza alcun pregiudizio.

Dobbiamo aprirci al fatto che la società è radicalmente cambiata, e non si può non parlare di diritti civili.

Dobbiamo ricordarci che la questione settentrionale non è meno importante di quella meridionale, perché il cuore economico della nostra nazione è stato troppo spesso abbandonato a se stesso.

Dobbiamo pretendere una giustizia veramente giusta, preservando in tutti i modi l'indipendenza della magistratura, imponendo che la sua amministrazione avvenga davvero solo in nome del popolo italiano, tenendo fuori la politica.

Su tutti questi argomenti, solo alcuni fra i tantissimi di cui si potrebbe discutere, ho una mia personale posizione, ma adesso non voglio parlarne: oggi voglio solo dire che dobbiamo affrontare questi temi senza dogmatismi, pensando che la la loro risoluzione non potrà che portare giovamento all'Italia.

L'alta politica è l'arte del compromesso, inteso come mediazione non di interessi ma di sensibilità, non esiste il portatore di un verbo universale (per quello bisogna rivolgersi oltre Tevere, ma non è il mio ambito), ma occorre ricordare come il nostro sia un popolo straordinariamente composito, e noi dobbiamo farcene interpreti e mediatori, perché tutti siano rappresentati.

Sono convinto che la costruzione di un grande partito di centrodestra sia ancora possibile, sulla scorta dei grandi partiti europei, con una chiara collocazione nel P.P.E. Cercherei di mantenerlo il più movimentista possibile, non certo per rincorrere Grillo, ma perché le pesantissime strutture dei partiti novecenteschi non sono più sostenibili (e nemmeno auspicabili). Un movimento quindi, ma con delle gerarchie ben definite. Occorrono persone che sappiano assumersi le proprie responsabilità a viso aperto, lasciare che "tutti decidano esprimendosi in rete" non significa nulla, come si può pensare di formare una classe dirigente che sappia guidare un comune, una regione, uno stato, se la responsabilità è sempre collettiva (quindi di nessuno)? Chi ha doveri di governo, dopo aver ascoltato e sentito tutti, al momento della decisione è solo, e se non ha gli strumenti e la preparazione per affrontare queste situazioni non può pensare di guidare nemmeno un consiglio condominiale.

Abbiamo il dovere di creare una classe dirigente per l'Italia onesta, seria e preparata, ma per farlo occorre che i singoli vengano responsabilizzati e messi alla prova: saranno i risultati ad accertare la bontà delle loro proposte e la loro riconferma.

Il passato ci sia da insegnamento ma non ci divida, rivolgiamo il nostro sguardo al futuro: non posso accettare che la nostra Italia sia ridotta al marasma che è oggi, e penso di essere in buona compagnia.

Alziamo la testa, un'altra volta ancora, e non abbassiamola più, per non darci ancora dei coglioni.