martedì 8 febbraio 2011

Le croniche carenze del Tribunale di Reggio Emilia

Dall'uff. stampa FLI Reggio Emilia


"Lucida ed equilibrata". Così il capogruppo di Fli in Consiglio provinciale, Tommaso Lombardini, giudica l'analisi di Francesco Caruso sul Tribunale di cui è da poco diventato presidente.

"I problemi del nostro Tribunale sono ormai arcinoti ma, nonostante gli impegni assunti dai vari governi che si sono succeduti alla guida della nazione, non è stato fatto sostanzialmente nulla per migliorarne le condizioni; purtroppo - rimarca Lombardini - la politica non si è mai occupata di una necessaria riforma della giustizia, in grado di migliorare la qualità del servizio offerto ai cittadini, ma va lodato il fatto che Caruso, riferendosi alle lungaggini di alcune indagini in ambito penale, non abbia voluto trincerarsi dietro comode giustificazioni, assumendo, così, parte della responsabilità dei problemi". 

Secondo Lombardini, quindi, "è giusto l'invito di Caruso ai parlamentari reggiani di verificare sul campo la realtà del nostro palazzo di giustizia" e lancia una provocazione: "Anziché presentarsi in pompa magna, i rappresentanti del popolo nominati in parlamento vengano una mattina alle 8 e si mischino alla fila per prendere i numeri per accedere alle cancellerie e passino un'intera mattinata in coda davanti agli uffici, come dobbiamo fare noi che per lavoro siamo spesso in Tribunale, o come qualunque cittadino che abbia bisogno di prendere visione di documenti: in questo modo si renderebbero conto di quali sono le reali difficoltà di chi opera nel settore". 

"E comunque - conclude Lombardini - i veri penalizzati, come sempre, sono i comuni cittadini, che vedono negato il loro diritto ad una giustizia certa e veloce".

martedì 1 febbraio 2011

Mala tempora currunt sed peiora parantur, o la democrazia dell'insultanza

Per l'Italia e per chi ha la sventura di essere appassionato di politica non è un bel momento.
Ho da poco finito di leggere un libro di Vespa sui dieci anni che hanno sconvolto l'Italia, quelli, per intenderci, fra il 1989 ed il 2000 e che hanno visto, in rapida serie, il crollo del muro di Berlino, tangentopoli, la fine del pentapartito, la scomparsa della DC e la conseguente diaspora dei cattolici impegnati in politica, la fuga - o l'esilio, a seconda dei punti di vista - di Craxi, i suicidi eccellenti, l'annichilimento di un'intera classe dirigente, la nascita di una seconda repubblica (per la verità, a distanza di anni, è lecito pensare che si sia voluto coniare questo termine per una colossale e nazionale lavata di coscienze: la carta costituzionale, infatti, non è mai stata cambiata, e la sola introduzione di un diverso sistema elettorale, maggioritario anziché proporzionale, non era sufficiente a dar vita ad una fase nuova e diversa dello Stato, ma la voglia di voltar pagina prevalse su tutto), la discesa in campo di Berlusconi, i cosiddetti postcomunisti e postfascisti (per usare un semplicistico lessico tardo novecentesco) al governo della nazione, l'avanzata della Lega, l'ingresso nell'euro.
Tutto partì dalla repulsione popolare per un sistema corrotto e concusso (a seconda dei casi): gli italiani si sentirono traditi da una classe politica che, ai loro occhi, aveva realmente oltrepassato i limiti della decenza.
Non esiste popolo più disposto al perdono del nostro, ma non esiste popolo altrettanto pronto alle esecuzioni di massa come quello italiano: tutti sapevamo che i nostri politici non erano immuni da difetti che, tuttavia, gli venivano perdonati per svariati motivi, dall'italico quieto vivere, al fatto predominante che, negli anni '80, esistevano una ricchezza diffusa ed una fiducia nel futuro che erano in grado di sopire ben più di qualche malumore.
Crollò il muro, e con esso tutto un sistema: da lì è cambiata la storia, dell'Europa e dell'Italia.
L'intangibilità di un sistema era stata abbattuta in una sola notte di novembre, trovando impreparati al cambiamento (quasi) tutti i politici italiani. Ciò che seguì, fu solo l'inizio di una rivoluzione bianca.
Trascorsi dieci anni da quei fatti, cos'è cambiato?
Se si parla di bicamerale, si fa riferimento, nell'ordine: a) a qualche casa regalata/prestata/comprata da amici e parenti a uomini politici; b) qualche segreta camera delle residenze del premier; c) una leggenda di metà anni '90.
Se qualcuno, per errore, parla di presidenzialismo o semipresidenzialismo viene fissato come se fosse un mostro (nell'accezione latina del termine).
Parlando di stato sociale, c'è chi guarda l'atlante cercando questa strana nazione dal nome italiano (sarà tradotto? Magari era in URSS ed ora è una repubblica autonoma).
Senso dello stato e rispetto delle istituzioni assomigliano sempre più a racconti di un'altra era... geologica, non politica.
A questo generale sfacelo si è aggiunto un ulteriore problema, e cioè che l'equilibrio fra i vari poteri dello stato è assai più precario rispetto al passato: senza immunità parlamentare, giudiziario e legislativo/esecutivo sono perennemente l'un contro l'altro armati.
Ricordate com'è finì l'ultimo governo Prodi? E' curioso che Berlusconi non sia mai caduto (finora) per le mille inchieste su di lui, mentre il centrosinistra sia andato a casa per un'indagine su un suo ministro (guarda caso, della Giustizia, e scordiamoci per un attimo che si trattava di Mastella, poi riciclato nel PDL...).
Che significa tutto ciò?
In primo luogo, che, come detto, il rapporto fra i poteri dello stato è ben lungi dall'essere equilibrato: non so chi e quando ci sarà dopo Berlusconi , ciò che so è che il conflitto permarrà ancora a lungo, con grave danno per tutti.
E' quasi pleonastico affermare che la guerra istituzionale fra il premier e la magistratura non giova certamente a creare le basi per una riforma, assolutamente necessaria, della giustizia; per onor di cronaca e dovere di verità, giova ricordare che questa benedetta riforma non è mai stata realizzata nemmeno dai governi del centrosinistra che si sono succeduti negli anni (che, per inciso, avrebbero avuto anche la possibilità di risolvere il problema del famigerato conflitto di interessi di Berlusconi, senza mai far seguire i fatti alle parole: a predicare sono capaci tutti, ma quando si tratta di concretizzare sono dolori per tutti, specie a sinistra).
In secondo luogo, che è ora facile accusare Berlusconi di tutti i mali di questo paese, ma questo è davvero troppo semplice ed autogiustificatorio.
Il punto è che, in questi anni, le nostre coscienze sono state temporaneamente narcotizzate e, da buoni italiani, abbiamo accettato passivamente le storture di un sistema che ha affossato i principi di meritocrazia e responsabilità, celebrando il trionfo dell'apparire sull'essere: in fondo, i nostri interessi non erano messi a rischio, per cui non valeva la pena di intervenire.
Anch'io sento di non aver fatto abbastanza per impedire questa deriva e, nel mio piccolo, avverto la responsabilità di aver lasciato che il superamento delle ideologie novecentesche si trasformasse non solo in un continuo scontro fra blocchi politici, ma anche in un vero e proprio referendum su di una persona: da noi, infatti, più che di democrazia dell'alternanza è più opportuno parlare, mi si passi il neologismo, di democrazia dell'insultanza (frutto della crasi fra insulto e alternanza), dove una parte è il male e l'altra il bene, in un bicromatismo manicheo degno di miglior sorte.
Nonostante ciò, è ancora possibile invertire questa tendenza.
Gli italiani hanno risorse straordinarie, hanno la capacità di saper tirar fuori il meglio da loro stessi anche quando tutto sembra perduto ovvero irrimediabilmente compromesso, ma qualcuno deve assumersi l'onore, oggi ingrato, di ridestarli dal torpore in cui sono caduti.
Il tempo del risveglio è arrivato, nel 150° anniversario dell'unità di Italia dobbiamo riscoprire quei valori che hanno fatto di noi un grande popolo, pur con tutte le nostre contraddizioni ed i nostri difetti.
L'Italia è nata per unire ed è ora che gli italiani si dimostrino degni della loro nazione e di tutti i grandi che ne hanno fatto la storia attraverso i secoli, o davvero il futuro che ci si prospetta sarà peggiore di questo già  triste presente.