lunedì 4 febbraio 2013

La destra ed il mito della comunità

Siamo in campagna elettorale, ma sinceramente non ho voglia di parlarne, almeno non direttamente.
Fra i vari motivi della frammentazione della destra italiana, ne ho individuato uno molto particolare, probabilmente sconosciuto ai più, ma tuttavia illuminante: il mito della comunità.
Cosa sia una comunità è chiaro più o meno a tutti, ma quando si tratta di politica la questione diventa estremamente intrigante, e terribilmente seria.
La comunità è un rifugio per persone che condividono gli stessi ideali, una corazza contro le ingiustizie del mondo, un luogo di riposo e conforto, dove è sempre possibile trovare qualcuno che possa ascoltare, capire e proteggere.
La comunità diviene la fortezza di chi si batte contro il materialismo imperante e lotta per i propri ideali, è al contempo barriera frangiflutti e porto sicuro.
I legami che si stringono fra le persone che appartengono alla comunità vanno oltre l'amicizia, perché ciò che unisce non è il rapporto personale, ma il perseguimento di fini comuni.
Tutto questo, e molto altro, è la comunità.
Idealizzata, mitizzata, cantata, difesa e protetta.
Io stesso ne ho fatto parte, e sono stati anni felici.
Anni di lotte combattute pur nella certezza che la vittoria era quasi impossibile.
Anni di sogni, di speranze disilluse, di serate indimenticabili trascorse ad immaginare un mondo nuovo, un'Italia diversa, un'Europa dei popoli e delle nazioni.
Anni di goliardate, di sbronze memorabili, di commozione e fratellanza.
Anni in cui andavamo in piazza senza sapere se ce ne saremmo andati esattamente come eravamo arrivati.
Anni meravigliosi, indimenticabili.
Ma tutto quello che abbiamo fatto non ha cambiato in meglio la nostra Patria, e nemmeno la nostra città.
Non siamo stati in grado di andare oltre la comunità, di comprendere che gli ideali per i quali ci siamo sempre battuti sono più grandi di noi, della nostra comunità, per l'appunto.
Se si ama realmente l'Italia, si devono fare proposte che la possano rendere davvero la nazione che abbiamo sempre sognato, anche se ciò significa entrare in collisione con la comunità.
Per rendere grande il nostro paese, è necessario che al nostro fianco marcino persone che possano aiutarci concretamente nel raggiungere questo obbiettivo, e non importa se non fanno parte della comunità, se non hanno mai attaccato un manifesto, allestito un banchetto o distribuito un volantino.
Amare l'Italia significa cercare compagni di viaggio che condividano questo ideale, a prescindere dalla simpatia che possiamo nutrire per loro.
Una comunità può essere una risorsa straordinaria, ma quando diviene autoreferenziale - cosa che di solito accade senza che nessuno se ne accorga - può invece diventare un freno a nuove proposte ed al cambiamento; chi ne fa parte, in assoluta buona fede, si rivolge solo all'interno, dimenticandosi che per mutare la società non ci si può nutrire solo di ideali, splendidi ma che non riescono ad incidere sulla realtà.
Aveva ragione Rino Formica quando diceva che la politica è "sangue e merda" (e qualcuno aggiunse: "buttata nel ventilatore"): la poesia è bella, ma i cambiamenti si fanno in prosa (preferisco il "Cinque Maggio" ai "Promessi Sposi", ma l'italiano - inteso come lingua - deve più al romanzo che all'ode).
Se abbiamo valori saldi non dobbiamo temere di affrontare il mare aperto, perché dobbiamo sempre ricordarci che l'obbiettivo da raggiungere è l'approdo della nostra imbarcazione, mentre troppe volte abbiamo creduto che il viaggio fosse più importante della destinazione.

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