mercoledì 10 novembre 2010

Fra falchi e colombe, scelgo la politica

La prima convention di Futuro e Libertà ha segnato un momento fondamentale per la politica italiana, per certi versi addirittura storico.
Per 17 anni, la vita politica è stata bloccata in un, a volte stucchevole, referendum sulla persona di Silvio Berlusconi, e già questa rappresenta un'anomalia nella anomalia. La contestazione, infatti, non riguardava le idee o le proposte di Berlusconi e della sua coalizione, ma era rivolta all'uomo Berlusconi, all'imprenditore Berlusconi, al presidente del consiglio Berlusconi, al leader dell'opposizione Berlusconi.
Molti si battevano e si stracciavano le vesti per le leggi ad personam, concentrando l'attenzione della nazione su problemi assolutamente secondari rispetto a quelli reali dei cittadini.
Non bisogna colpevolizzare il presidente del consiglio oltre quelle che sono le sue (tante) responsabilità: se i problemi dei giovani, dell'occupazione, del mondo del lavoro, dell'ambiente, dell'innovazione etc. sono passati in secondo piano così a lungo, è stato anche perché l'attuale opposizione ha sempre strumentalmente preferito attaccare Berlusconi per i suoi limiti più palesi, ma meno dannosi per la comunità, anziché inchiodarlo alla mancata realizzazione di quelle riforme tanto invocate e promesse e mai attuate.
Questo gioco al massacro non ha fatto altro che dividere e lacerare un paese che, invece, avrebbe avuto un disperato bisogno di recuperare un sentimento nazionale e, perché no?, patriotico per uscire dalle secche in cui si era arenato dopo tangentopoli.
Da confronto di idee a confronto di personalità: la sinistra non aveva nessuna speranza di battere Berlusconi sul suo terreno, ed infatti, cercando di imitarne il modello, probabilmente anche in modo inconsapevole, ha finito per copiarne i vizi  ma non i pregi, che pure esistevano.
In questo scenario, era maturata, nel centrodestra, una concezione quasi mistica di Silvio Berlusconi: non solo il leader era sempre e comunque lui - bisogna ammettere che questo riconoscimento se lo era meritato sul campo, pur non giocando ad armi pari con i suoi colleghi, ma questo ragionamento meriterebbe una più ampia ed approfondita discussione - ma non era nemmeno pensabile che potesse esistere alcuna forma di contestazione al suo operato.
Più che di cesarismo, in effetti, ci si avvicinava ad una sorta di dogmatismo pagano, in cui la parola e le azioni di Berlusconi erano sempre vere e giuste a prescindere, senza se e senza ma. Insomma, dopo "il duce ha sempre ragione", si era arrivati all'assioma "il presidente (scontato e sottinteso che il presidente in questione fosse B.) ha sempre ragione", con il corollario solo apparentemente pleonastico "e chi lo contraddice ha sempre torto e, nei casi peggiori, è pure un comunista". Alla faccia del pensiero liberale!
Ciò che sembrava davvero impossibile era mettere in discussione il premier.
E' vero che i vari sistemi elettorali che si sono succeduti hanno creato un semipresidenzialismo de facto, anche se non recepito in Costituzione, ma da qui all'intangibilità del presidente del consiglio il passo è lungo.
Ecco, Gianfranco Fini, forse con ritardo, forse in modo molto pesante, ma certamente senza ipocrisia, ha fatto una cosa del tutto normale: ha detto che le cose, così come si trovavano, non potevano più andare avanti.
Il presidente della Camera è stato certamente più onesto di tanti personaggi orbitanti intorno a Berlusconi, che dietro un servilismo estremo, celavano il segreto e ben celato desiderio di prendere il potere, non il posto, del capo, appena questi fosse venuto meno (politicamente parlando).
Queste persone hanno fatto molto peggio al PDL ed a Berlusconi, e conseguentemente all'Italia, di qualunque affermazione di Fini.
La politica, se non mette in discussione i suoi attori, rischia davvero di diventare una rappresentazione dell'effimero, una recita con personaggi che tutto vogliono fare tranne che cercarsi un autore, preferendo scegliersi un padrone.
Fini ha solo ricordato, a Berlusconi ed all'Italia, che nessuno è perfetto, che tutti possiamo essere messi in discussione e che l'interesse comune viene prima dell'affermazione personale.
Per questo, oggi, non mi voglio interessare di ornitologia, credo che il ritorno alla politica sia molto più importante: se davvero Berlusconi vorrà sopravvivere a se stesso e riproporsi alla guida della nazione, non dovrà farsi guidare dal suo enorme ego, ma dovrà scegliere la dialettica ed il confronto, cioè gli strumenti che permettono di trasformare la politica politicante in qualcosa di più grande ed importante, per tutti noi e per la nostra Italia. 

2 commenti:

  1. A lavorare!
    Che per una volta non è grido di dileggio ma un motto d'entusiasmo. Il nostro Paese ha bisogno di riforme e di una nuova politica del fare.

    Go!

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  2. esatto Tommi, nessuno ce l'ha con Berlusca ma coi suoi cattivi consiglieri,Fini è stato il primo onesto a stancarsi di questo tira e molla

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